Il vino sfuso torna di moda

Pubblicato il : 01 Aprile 20202 tempo di lettura minimo
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Spesso si pensa al vino “sfuso” come ad un vino di qualità molto bassa, anonimo, indifferenziato, prodotto soprattutto da cantine sociali e venduto in cisterne per essere poi confezionato in bottiglie da litro, litro e mezzo, piccole damigiane.

Oggi sono sempre più numerosi i casi in cui la qualità del vino sfuso ha poco da invidiare a quella del vino in bottiglia.

Anni di innovazioni tecnologiche, di progressi scientifici e culturali nel settore enologico, sono serviti a migliorare questo prodotto.

Si parla, in particolare, del vino sfuso venduto nei punti vendita delle aziende e delle cantine: posso essere vini a Igt, ma anche a Doc, e con prezzi al litro convenienti ma non bassissimi.
L’ Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) ha rilevato per Fedagri nel 2009 una crescita dell’export viti-vinicolo italiano del 10,2% in volume, ma con un calo del 5,4% in valore rispetto al 2008.

Lo sfuso è salito del 18% e rappresenta un terzo del totale delle esportazioni di vino italiano.

Ci sono importanti catene che comperano vini sfusi e poi li imbottigliano nei loro Paesi (dal Canada alla Svezia) con etichette che dichiarano l’origine italiana.

In Germania gli sfusi made in Italy sono saliti del 21%.

In ogni caso non c’è dubbio che il consumatore del vino sfuso sia, per abitudini e classe d’età, molto diverso dall’acquirente del vino in bottiglia ma questo non ha a che fare con la qualità.

Il periodo migliore dell’anno per l’acquisto del vino sfuso è la primavera, per il vino destinato al consumo immediato e per i vini bianchi. In autunno invece, vanno acquistati i vini rossi da invecchiare in bottiglia.

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